Fonte: Il Sole 24 Ore di Giuliano Segre
Per le Onlus che operano sul mercato l’impresa sociale può rappresentare un possibile approdo, ma restano alcuni nodi fiscali. L’abrogazione del Dlgs 460/1997, dal 2026, impone alle realtà ancora in possesso della qualifica di Onlus una riflessione che coinvolge l’assetto organizzativo e il nuovo inquadramento fiscale. Sarà determinante verificare la natura tributaria, commerciale o meno, in base al test delineato dall’articolo 79 del Dlgs 117/2017. Per le realtà senza scopo di lucro, che presentano un impianto operativo imprenditoriale, la qualifica di impresa sociale potrebbe configurarsi come destinazione naturale. Un modello preferibile per gli enti che producono un avanzo di gestione stabile o che valorizzano con buoni margini lo svolgimento di attività commerciali diverse (ad esempio sponsorizzazioni) dal momento che consente di beneficiare della defiscalizzazione degli utili investiti nell’attività istituzionale. Ma il tema fiscale si lega anche ad altri profili destinati a essere oggetto di rimeditazione dopo la comfort letter. Un primo criterio di valutazione riguarda l’impatto dell’Irap sulla gestione delle attività. Finora Regioni e Provincie autonome hanno previsto, con modalità non del tutto omogenee, forme di esenzione o riduzione dell’aliquota Irap per le Onlus. Il venir meno di tale qualifica imporrà una rimeditazione da parte degli enti locali e un aggiornamento delle premialità ai fini Irap da estendere agli Ets, magari con maggiore coerenza e uniformità. In assenza di esenzioni o riduzioni, infatti, gli enti non commerciali potrebbero essere penalizzati dalla applicazione del metodo retributivo, che impone la determinazione della base imponibile in base al costo del personale. Dunque, in presenza dell’impiego di una significativa forza lavoro, potrebbe essere certamente più conveniente per l’ente valutare la soluzione impresa sociale. In tal caso, infatti, la natura commerciale dell’ente garantirebbe ai fini Irap l’applicabilità del metodo ordinario con conseguente deduzione del costo del lavoro dalla base imponibile. Altro fronte che potrebbe condizionare la scelta riguarda il regime Iva. La comfort letter ha sancito la sostituzione del riferimento alle Onlus, presente nelle previsioni di esenzione contenute nell’articolo 10 del Dpr 633/1972 con quello di «enti del Terzo settore di natura non commerciale». Con la conseguenza che un’impresa sociale in ambito sociosanitario dovrebbe applicare l’aliquota ordinaria del 22 per cento. Un effetto che sostituirebbe il regime di esenzione oggi applicato dalle Onlus, in attesa della piena rivisitazione del quadro Iva applicabile agli enti del terzo settore e prospettato dalla delega fiscale. In questo quadro, il nuovo scenario fiscale delineato dalla comfort letter potrebbe legittimare una diversa soluzione, più coerente con il quadro di sistema, volto a sostituire i riferimenti alle Onlus presenti all’articolo 10 del decreto Iva con la locuzione «enti del terzo settore», senza distinzione in merito alla qualificazione fiscale. Mentre per le imprese sociali potrebbe essere valutata l’opportunità di estendere l’aliquota Iva del 5% alle prestazioni socio-sanitarie oggi prevista per le sole cooperative sociali che svolgono tale attività verso determinate categorie di soggetti.
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