I dati di produzione industriale e di export dell’Italia di aprile hanno mostrato evidenti segnali di rallentamento. Ciò dipende sia dalla recessione “tecnica” dell’Eurozona verificatasi a cavallo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, che sta penalizzando gli scambi intra-comunitari e il nostro export, sia dall’esaurimento dei superbonus edilizi e dal contemporaneo ritorno a livelli più normali di molte nostre produzioni manifatturiere impiegate nelle costruzioni e nell’arredo-casa come cemento, ceramiche, vetro, mobili, ecc. Ciò nonostante, anche le ultime proiezioni della Banca d’Italia indicano per il 2023 una crescita attesa del PIL italiano dell’1,3%. Come si spiegano queste tendenze apparentemente in contrasto tra loro?
In effetti, una delle novità di questo particolare momento storico è che la nostra economia sembra finalmente in grado di poter crescere anche “senza industria”. Mentre per tanti anni il PIL italiano è aumentato quasi solo unicamente grazie a manifattura ed esportazioni, a fronte di una domanda interna costantemente fiacca.
Il fatto nuovo è che in questa fase, la nostra economia è invece trainata prepotentemente dai servizi, dal lato dell’offerta, e dai consumi delle famiglie italiane e dei turisti stranieri, dal lato della domanda. Mentre la stessa dinamica degli investimenti in beni strumentali continua ad essere positiva. Secondo la Banca d’Italia, ad esempio, i consumi delle famiglie italiane nel 2023 aumenteranno dell’1,3%, mentre gli investimenti in beni strumentali dovrebbero far registrare un ulteriore progresso del 3,6% dopo il brillante +7,3% del 2022.
Siamo, cioè, in presenza di un cambiamento strutturale dei nostri fattori di crescita. L’industria manifatturiera e l’export, ovviamente, restano importantissimi nell’economia italiana. Il made in Italy sarà sempre uno dei nostri punti di forza. Ma è importante che finalmente abbiano cominciato a crescere in modo significativo anche i servizi. E ciò è stato possibile, dopo gli anni dell’austerità, grazie alla lenta ma costante ricostituzione del potere d’acquisto delle famiglie, ben difeso anche durante l’ultimo anno di inflazione dalle misure del governo Draghi, poi mantenute in essere dal governo Meloni.
Dal 2015 in poi è aumentata significativamente in Italia l’occupazione ed è calato in modo deciso il numero delle persone gravemente deprivate sotto il profilo materiale e sociale (cioè gli individui che non possono permettersi almeno 7 dei 13 fabbisogni personali e famigliari basici indicati dall’Eurostat). Ciò è avvenuto in due fasi: durante i governi Renzi-Gentiloni e poi durante il governo Draghi.
I progressi del mercato del lavoro sono noti. Lo sono meno le cifre sulla deprivazione materiale che pure sono impressionanti. Infatti, nel 2015 le persone in condizioni di severa deprivazione in Italia erano ben 7 milioni e 386 mila mentre nel 2022 il numero è sceso verticalmente a 2 milioni e 613 mila (contro i circa 5 milioni della Germania, i 4,7 milioni della Francia e i 3,5 milioni della Spagna). Nel 2015 la percentuale di persone in severa deprivazione in Italia era pari al 12,1%, contro il 5,7% della Germania, il 6,8% della Francia e il 7,4% della Spagna. Nel 2022 la situazione appare completamente ribaltata. Infatti, l’Italia è scesa al 4,5%, il suo valore più basso di sempre e il più basso tra le quattro grandi nazioni della moneta unica; la Germania è invece salita al 6,1% (suo massimo storico da quando esistono le serie), la Francia è salita al 7,5% (anche in questo caso un massimo storico), mentre la Spagna è rimasta più o meno sempre agli stessi livelli ed è oggi al 7,7%.
Non solo le imprese, dunque, protagoniste di un triennio record di esportazioni dopo la pandemia, ma anche le famiglie italiane stanno oggi molto meglio di dieci anni fa. Ciò spinge i consumi interni di beni e servizi. E in più il nostro Paese sta vincendo la sfida del turismo, attraendo milioni di turisti stranieri “affamati” di Italia.
Nei primi quattro mesi del 2023, secondo l’Eurostat, il numero di pernottamenti di turisti stranieri in Italia è salito a 42,4 milioni, con una crescita record di oltre 12,5 milioni in più, pari a +43% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’aumento in Francia è stato del 23% e in Spagna del 25%. In altre parole, abbiamo letteralmente stracciato i nostri maggiori competitor. E siamo quasi tornati agli stessi livelli record di turisti stranieri pre-pandemia. Non solo. Infatti, sempre nei primi quattro mesi di quest’anno, abbiamo avuto anche oltre 5 milioni di pernottamenti in più di turisti italiani rispetto al 2022.
Tutti numeri che spiegano perché l’Italia, diversamente dal passato, veleggi ormai nella parte alta della classifica della crescita economica mondiale, come mostrano i più recenti dati OCSE.