È il 26 marzo 2022 – e non il 31 dicembre 2021 – il termine di decadenza relativo al periodo di imposta 2015. È quanto si desume dai chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate in merito ai termini di decadenza relativi agli atti di accertamento in parola, che erano naturalmente in scadenza il 31 dicembre 2021, ma devono intendersi differiti di 85 giorni in conseguenza della sospensione dettata dall’art. 67, D.L. n. 18/2000.
In particolare, ci si è interrogati se tale sospensione operi per la totalità dei termini pendenti all’8 marzo 200 con la sola esclusione di quelli afferenti alle annualità naturalmente in scadenza al 31 dicembre 2000, in relazione ai quali ha operato invece la previsione speciale di cui all’art. 157, D.L. n. 34/2020.
In via preliminare l’Agenzia ha evidenziato come la sospensione di cui al comma 1 dell’art. 67 del decreto Cura Italia risulta applicabile ai termini decadenziali riferiti a atti e imposte non rientranti nell’ambito applicativo della proroga di cui all’art. 157 del decreto Rilancio. Ciò in quanto il comma 1 dell’art. 157 ha previsto che tali termini di decadenza siano calcolati senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’art. 67. Per tali atti e imposte, la circolare n. 25/E del 2020 ha chiarito che può ritenersi ormai superata l’applicazione del periodo di sospensione dei termini prevista dall’art. 67, in quanto lo stesso periodo 8 marzo 2020-31 maggio 2020 è ora ricompreso nel più ampio arco temporale in cui opera la proroga di decadenza dei termini disciplinata dall’art. 157 (entro il 31 dicembre 2020).
La sospensione ex art. 67 risulta invece applicabile ai termini di decadenza riferiti ad atti e imposte non scaduti nel periodo 8 marzo-31 dicembre 2020, che pertanto non sono rientrati nell’ambito applicativo dell’art. 157, comma 1, del decreto Rilancio.
Sul punto, richiamando quanto indicato nella circolare 6 maggio 2020, n. 11/E (risposta al quesito 5.9), la circolare n. 25/E del 20 agosto 2020 (risposta al quesito 3.10.4) ha chiarito che “in virtù di un principio generale, più volte richiamato nei precedenti documenti di prassi, la sospensione introdotta dall’articolo 67 [determina] lo spostamento in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospensione (nel caso di specie 85 giorni)”.
Di conseguenza, a mero titolo esemplificativo, il termine di decadenza relativo al periodo di imposta 2016, corrispondente al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, sarà il 26 marzo 2023 e non il 31 dicembre 2022.
Decadenza e mini-ritardi nelle rate
Relativamente alla decadenza dalla rateizzazione nel caso di mini ritardi nei pagamenti delle rate, ad esempio, in caso di decadenza pari a 10 rate non pagate, a fronte di 10 rate pagate con ritardo non superiore a 7 giorni, oppure di 9 rate non pagate e la decima pagata con ritardo non superiore a 7 giorni, l’Agenzia delle Entrate ha previsto che il riferimento all’ipotesi di tardività non superiore a 7 giorni nel versamento delle rate dei piani di dilazione accordati dall’agente della riscossione ai sensi dell’art. 19, D.P.R. n. 602/1973 sembra diretto ad evocare la disciplina recata dall’art. 15-ter dello stesso decreto in tema di “lieve inadempimento”, disciplina che, tuttavia, riguarda la diversa fattispecie degli “adempimenti nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate” e non è, invece, applicabile alle rateazioni dell’agente della riscossione.
Del resto, le disposizioni dell’art. 15-ter hanno un contenuto incompatibile con il contesto di tali ultime rateazioni, poiché il comma 5 dello stesso art. 15-ter dispone che, nei casi di “lieve inadempimento” richiamati dal precedente comma 5, “[…] si procede all’iscrizione a ruolo dell’eventuale frazione non pagata” e le somme oggetto di dilazione ex art. 19, D.P.R. n. 602/1973 sono per definizione già iscritte a ruolo/affidate in carico all’agente della riscossione.
Inoppugnabilità dell’estratto a ruolo
Infine, in merito alla previsione recata dall’art. 3-bis del decreto Fisco-Lavoro (D.L. n. 146/2021), che dispone l’inoppugnabilità dell’estratto a ruolo, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che tale previsione ha carattere retroattivo. Infatti, già prima dell’entrata in vigore della novella normativa, la Corte di Cassazione aveva ripetutamente escluso l’autonoma impugnabilità ex se dell’estratto di ruolo e l’accesso alla tutela giurisdizionale “anticipata” (mediante l’impugnazione del ruolo o della cartella, che si pretenderebbe conosciuto/a tramite l’estratto di ruolo consegnato da Agenzia delle Entrate-Riscossione al debitore richiedente) senza attendere la notifica dell’atto riscossivo successivo, non sorretto da un interesse concreto ed attuale del contribuente a valersene.
Di conseguenza, con la previsione recata nell’art. 3-bis, D.L. n. 146/2021 il Legislatore – ponendosi nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità – è intervenuto per ribadire la non impugnabilità dell’estratto di ruolo e prevedere le casistiche in cui l’interesse del debitore ad impugnare direttamente “il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata”, senza attendere la notifica dell’atto successivo, è ritenuto sussistere in ragione dell’emersione di un concreto pregiudizio (derivante dall’iscrizione a ruolo e da documentarsi a cura del debitore stesso), in casistiche accomunate dal rilievo che, nelle stesse, in ragione dell’emersione del pregiudizio in parola, “l’esigenza di tutela giudiziale si palesa indifferibile” (cfr., in proposito, la Relazione Finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria).
Infine sempre in ordine all’inoppugnabilità dell’estratto di ruolo, è stato chiarito che – ai sensi dell’art. 1, comma 537, legge n. 228/2012 – “gli enti e le società incaricate per la riscossione dei tributi, di seguito denominati “concessionari per la riscossione”, sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore, limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, effettuata ai sensi del comma 538”.
Il successivo comma 538 dispone, poi, che la dichiarazione in parola può essere presentata, “, a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla notifica, da parte del concessionario per la riscossione, del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario”.
Pertanto, per espressa previsione normativa, la presentazione della dichiarazione di cui all’art. 1, comma 537 e ss., della legge n. 228/2012 (che determina la sospensione delle attività di recupero coattivo) presuppone necessariamente la preventiva notifica “del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva”.
Fonte: Ipsoa quotidiano